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Il termometro digitale è davvero la scelta migliore per misurare la febbre?
Nel 2010 il termometro a mercurio è stato ritirato dal mercato a causa del suo elevato potenziale inquinante ed è stato sostituito da una molteplicità di strumenti più o meno sofisticati per la rilevazione della temperatura corporea.
Ma come è possibile orientarsi tra tutti questi dispositivi? Le linee guida attualmente utilizzate in pediatria raccomandano di usare il termometro digitale (elettronico) come strumento principale di scelta per i bambini di tutte le età. Gli altri tipi di apparecchi termorilevatori, invece, sono sconsigliati da usare a casa perché ritenuti poco affidabili o perché la loro accuratezza può essere compromessa da variabili difficilmente controllabili da un genitore.
Dove è preferibile misurare la temperatura corporea nei bambini?
La sede più opportuna di rilevazione della temperatura corporea nei bambini è quella ascellare perché garantisce un buon compromesso tra affidabilità della misurazione e scarsa invasività della procedura. La sede rettale, a oggi, non è consigliata, e andrebbe riservata solo a condizioni particolari poiché comporta un rischio potenziale di lesionare la mucosa e causa discomfort nel bambino. Per analoghe ragioni è sconsigliata anche la bocca.
Se è presente anche un’eruzione cutanea bisogna preoccuparsi?
Un’eruzione cutanea, soprattutto se si manifesta nel corso di un episodio febbrile, può essere espressione di malattie esantematiche o di reazioni cutanee innescate da infezioni virali (come l’orticaria intrainfettiva o postinfettiva) e merita un consulto con il pediatra.
Le eruzioni cutanee che devono sempre destare allarme sono quelle che rimangono fisse sulla cute anche quando vi si applica una pressione con il dito: sono macchie bluastre o rosso scuro (lividi, ematomi) e lesioni puntiformi rossastre (petecchie). Queste lesioni sono spesso associate a infezioni gravi che necessitano di una pronta valutazione.
Indossare abiti leggeri può essere considerato il primo provvedimento per combattere la febbre?
Quando l’organismo si attiva per aumentare la temperatura corporea in risposta all’infezione compaiono brividi, pallore o marezzatura della pelle e una sensazione di malessere generale, tutti sintomi che ci avvisano che qualcosa non va. Quando la temperatura interrompe la sua ascesa e si attesta su un valore stabile, i brividi e il malessere lasciano il posto a una sensazione di calore intenso: è arrivata la febbre.
Il primo provvedimento che è bene adottare con un bimbo febbrile è alleggerire i suoi indumenti per consentire una fisiologica dispersione del calore (traspirazione) e tenerlo in un ambiente confortevole e adeguatamente areato.
Fare spugnature con acqua è efficace?
L’aumento della temperatura corporea durante un’infezione è un processo articolato in fasi ben precise e finemente organizzato nei dettagli: vi è una prima fase in cui entrano in gioco i meccanismi volti all’aumento della temperatura corporea e una fase successiva in cui la temperatura si stabilizza entro valori che, seppur elevati, non sono in grado di danneggiare il nostro organismo.
Pertanto, un bambino con la febbre non necessita di essere ulteriormente stressato nel tentativo di abbassare la temperatura in modo forzato. Ci si può limitare ad alleggerire i suoi indumenti, offrire spesso da bere acqua (o latte materno/artificiale se è piccino), tenerlo tranquillo in un ambiente areato e confortevole e assecondare il suo desiderio di stare in braccio, a letto, o di andarsene a passeggio per casa e giocare, monitorando la situazione per notare eventuali sintomi da riferire al pediatra.
È bene tenere a mente che la borsa del ghiaccio, gli impacchi con alcol, i bagni forzati e altri mezzi fisici sono procedure sconsigliate perché inefficaci, potenzialmente dannose e perfino più pericolose della febbre.
Che differenza c’è tra febbre e ipertermia?
La necessità di abbassare la temperatura corporea nei bambini è invece cruciale nell’ipertermia, una grave condizione in cui la temperatura corporea si innalza pericolosamente oltre i 40 °C in seguito a un aumento della temperatura esterna oppure per via di un’attività dei meccanismi di dispersione del calore poco o per nulla efficace, o ancora a causa dell’effetto di farmaci o condizioni patologiche.
Mentre nella febbre dovuta a un’infezione l’aumento di temperatura è espressione di un processo fisiologico controllato, innescato da sostanze che modificano le impostazioni del termostato che si trova nel nostro cervello (ipotalamo), nell’ipertermia salta interamente il sistema di termoregolazione del nostro organismo, e pertanto è più pericolosa. Nella pratica pediatrica, l’ipertermia è solitamente causata da un’esposizione massiva del bambino al calore.
Perché si parla di “bambini predisposti” nei casi di convulsioni febbrili?
Le convulsioni febbrili sono delle crisi che si manifestano durante la febbre in bambini geneticamente predisposti. Queste convulsioni non sono dovute a una malattia o a infezioni del sistema nervoso centrale, come ad esempio la meningite, ma sono espressione di una particolare reattività cerebrale che si verifica in alcuni bambini in seguito a rapidi innalzamenti e riduzioni della temperatura corporea.
Si manifestano generalmente nei primi anni di vita (entro il terzo anno) con perdita di coscienza associata a ripetute scosse degli arti o a uno stato di rilassamento generalizzato dei muscoli, oppure, ancora, a uno stato di assenza in cui il bambino appare non reagire all’ambiente circostante. Anche se destano una comprensibile apprensione in chi le osserva, nella maggior parte dei casi durano pochissimi minuti, non causano danni a lungo termine nel bambino, e tendono a scomparire con la crescita (sono estremamente rare dopo i 6 anni). In una minoranza di bambini in cui sono presenti specifici fattori di rischio, quindi, sarà opportuno un attento monitoraggio dello specialista.
Dopo la diagnosi del primo episodio di convulsione febbrile, che deve necessariamente vedere esclusa una causa infettiva (meningite o encefalite), i genitori sono istruiti dal pediatra su come riconoscere e gestire un eventuale episodio successivo. I farmaci antipiretici (paracetamolo e ibuprofene) non sono in grado di prevenire la crisi convulsiva e pertanto vanno somministrati per alleviare la febbre usando le stesse indicazioni valide per i bambini che non soffrono di convulsioni febbrili.
Febbre e malattia infettiva del bambino sono sempre collegati?
La febbre è un innalzamento della temperatura corporea al di sopra dei valori di normalità (l’OMS definisce la temperatura corporea centrale normale compresa tra 36.5 °C e 37.5 °C), non causata da variazioni della temperatura esterna, e si manifesta il più delle volte a seguito di un’infezione, ossia in seguito all’incontro tra il nostro organismo e un ospite indesiderato (virus, batterio). Alcune di queste malattie infettive sono contagiose (ad esempio l’influenza) altre non lo sono (ad esempio le infezioni urinarie). Alcune necessitano di una terapia (antibiotica o antivirale), altre invece guariscono spontaneamente.
Quando un microrganismo ci attacca, il nostro sistema immunitario si attiva in nostra difesa e nel corso della battaglia vengono rilasciate delle sostanze che tramite il torrente sanguigno raggiungono l’ipotalamo, una regione del nostro cervello deputata alla termoregolazione. Queste sostanze ne modificano i parametri (il cosiddetto set-point), impostando dei nuovi valori di temperatura, più elevati: ciò serve a ostacolare la sopravvivenza all’ospite indesiderato e a rendere il nostro sistema immunitario più efficace nel toglierlo di torno.
Febbre a 37 persistente nei bambini e febbre a 37 senza sintomi: cosa fare?
La febbre merita sempre attenzione perché il più delle volte è causata da un’infezione. Tuttavia, la temperatura corporea è un parametro vitale soggetto a una grande variabilità e pertanto non è sempre facile distinguere con certezza un’alterazione patologica della temperatura da un’alterazione che rientra in questa predetta variabilità.
Il nostro corpo di per sé produce continuamente calore attraverso i processi metabolici e la produzione di ormoni: se ognuno di noi misurasse la propria temperatura corporea in diversi momenti della giornata noterebbe che i valori sono più bassi nelle prime ore del mattino e tendono poi a innalzarsi nelle ore serali. La temperatura, per esempio, va incontro a un lieve rialzo anche dopo che abbiamo consumato un pasto. Infine, basta pensare a come ci si sente accaldati dopo aver fatto di corsa una rampa di scale, dopo una discussione accesa con un collega o semplicemente durante una caldissima giornata estiva.
Per tutte queste ragioni è buona norma misurare la temperatura quando il bambino è tranquillo, a riposo e in un ambiente fresco, così da ottenere un valore il più possibile attendibile. Spesso, però, è necessario effettuare più misurazioni per avere un’idea della situazione reale.
Un altro importante suggerimento, che dovrebbe essere sempre valido, è osservare il bambino nel tempo e notare la presenza di eventuali sintomi. Un valore di temperatura pari a 37.2 in un bambino raffreddato o che manifesta altri sintomi, infatti, ha un significato diverso rispetto allo stesso valore rilevato in un bambino che sta bene ed è asintomatico. Ecco quindi che risulta cruciale tenere gli occhi sul bambino, oltre che sul termometro.
Farmaci antipiretici nei bambini: quali sono quelli consigliati? Come vanno usati?
La febbre è un prezioso alleato che avverte di un’infezione in atto e che al tempo stesso rappresenta un sistema di difesa naturale, efficace e ben collaudato, su cui interferire il meno possibile. Tuttavia, se il bambino sembra infastidito e non riesce a svolgere le sue normali attività, o se la febbre è molto elevata, sarà il momento di somministrare la terapia antipiretica, ossia il farmaco che abbassa la temperatura. In pediatria, gli unici antipiretici consentiti sono il paracetamolo e l’ibuprofene: quest’ultimo, però, si può somministrare dopo i 6 mesi e va evitato se il bambino è disidratato, ha la varicella o se ha la malattia di Kawasaki. Il dosaggio di questi farmaci si basa sul peso corporeo del bambino ed è bene rispettare l’intervallo di tempo previsto tra le somministrazioni. È preferibile inoltre usare le formulazioni per bocca perché in questo modo si garantisce che il dosaggio sia realmente tarato sul peso del bambino e l’assorbimento del farmaco sia costante. L’utilizzo delle formulazioni in supposte andrebbe invece riservato a tutte quelle condizioni in cui il bambino non riesce ad assumere farmaci per bocca. Inoltre è meglio evitare di alternare paracetamolo e ibuprofene perché ciò può aumentare il rischio di effetti collaterali.
Nel corso di un’infezione la febbre persiste fino a quando il microrganismo estraneo non è eliminato dal sistema immunitario o dalla terapia. L’antipiretico si limita ad abbassare temporaneamente la temperatura che, una volta esaurito l’effetto del farmaco, potrebbe tornare a innalzarsi. La ragione per cui si ricorre all’antipiretico, quindi, è di ridurre il fastidio arrecato dalla febbre, non abbassare la temperatura tout court: di conseguenza il beneficio atteso va ricercato nel miglioramento dello stato generale del bambino piuttosto che nel valore segnato sul termometro.
Febbre 39.7 nei bambini: che significato ha?
Nei bambini che hanno più di 6 mesi di età, una febbre elevata non deve di per sé scatenare preoccupazioni perché non è detto che sia necessariamente correlata a un’infezione grave: il parametro fondamentale che deve sempre orientare chi assiste il bambino è la valutazione delle sue condizioni generali e del suo comportamento. Osservare che il bambino, nonostante la febbre alta, si comporta come al solito, sorride e si alimenta normalmente, deve rassicurare, ma è comunque meglio confrontarsi con il pediatra.
Al contrario, nei neonati o nei piccoli di pochi mesi, qualunque incremento della temperatura, anche se è lieve e si manifesta in apparente benessere, va sempre considerato pericoloso e merita una pronta segnalazione al pediatra.
Vomito e diarrea, vie respiratorie intasate: quando chiamare il pediatra?
La febbre, di per sé, non è pericolosa, ma può esserlo invece l’infezione che l’ha provocata. In particolare, vi sono alcune circostanze che meritano grande attenzione: quando il bambino è piccolo (neonato o bambino di pochi mesi), quando le condizioni generali sono compromesse (il bambino non si comporta come al solito, non riesce ad alimentarsi, dorme sempre o al contrario è estremamente irritabile e inconsolabile), quando respira con difficoltà, quando presenta episodi di vomito e/o diarrea, quando non si muove come al solito e quando presenta macchie sulla pelle che non si schiariscono con la digitopressione. Infine, un episodio febbrile in un bambino che presenta delle fragilità e dei fattori di rischio legati a una patologia cronica va sempre valutato con la massima attenzione.
Febbre nei bambini e coronavirus: cos’è cambiato?
La pandemia da SARS-Cov-2 non aiuta ad affrontare serenamente il manifestarsi dell’episodio febbrile e contribuisce ad amplificare l’attenzione sulla temperatura corporea, che oggi viene rilevata di routine in tutti i contesti che vedono più persone concentrate in uno spazio chiuso, scuole e asili compresi. Oggi più che mai, quindi, occorre tenere un ancor più stretta alleanza e serena collaborazione tra pediatra e genitore.
Mentre prima della pandemia i genitori venivano istruiti dal proprio pediatra ad attendere un paio di giorni di febbre prima di farsi contattare per un consulto (a patto che il bambino fosse in buone condizioni e in assenza di condizioni di rischio), ora la necessità di individuare e gestire precocemente un caso sospetto di COVID-19, in modo da mettere in sicurezza la comunità, richiede una pronta segnalazione di qualunque episodio febbrile o sintomo sospetto del bambino. Tuttavia, la gestione della febbre non è cambiata, e sono valide tutte le indicazioni e raccomandazioni fornite sin qui.