Tata - mamma lavoratrice

Sarò mamma ma continuerò a lavorare: un sogno impossibile?

Diventare madri e continuare a lavorare è possibile, basta rinunciare all’illusione di essere mamme perfette e anche lavoratrici con il massimo del rendimento

Sarò mamma ma continuerò a lavorare: un sogno impossibile?

Tata - mamma lavoratrice
Diventare madri e continuare a lavorare è possibile, basta rinunciare all’illusione di essere mamme perfette e anche lavoratrici con il massimo del rendimento

L’Ispettorato del lavoro ha recentemente diffuso i dati sulla situazione lavorativa delle neomamme del nostro paese: nel corso del 2019 si sono dimesse ben 37.611 madri lavoratrici. Il fenomeno delle dimissioni volontarie dal lavoro, ovviamente, riguarda anche gli uomini, ma la differenza di cifre è significativa. Ogni anno, infatti, i papà che lasciano di propria volontà il posto di lavoro sono poco più di 12.000 e in molti casi per motivi di miglioramento della propria posizione e non per rinuncia temporanea o definitiva al lavoro. Inoltre, vale la pena sottolineare che questi dati si riferiscono esclusivamente alle dimissioni “verificate” dall’Ispettorato del lavoro, e quindi non rientrano le spiacevoli situazioni dei licenziamenti mascherati da dimissioni volontarie: come ad esempio le lavoratrici ricattate al momento dell’assunzione, con l’obbligo di firmare dimissioni “in bianco” che verranno compilate in caso di gravidanza.

Io mamma lavoratrice

Ma per una donna è davvero così difficile conciliare lavoro e maternità? I diritti della madri lavoratrici in Italia non sono tutelati come in alcuni altri paesi, ma molti passi avanti sono stati fatti: per esempio sono garantiti i congedi di maternità, quelli per l’allattamento e per l’assistenza ai figli in caso di malattia. Ma come si traduce tutto questo nella realtà della vita di una mamma che lavora? «Avere il diritto al congedo di maternità, all’allattamento, e così via, non sempre significa essere rispettate e trattate con comprensione. A volte sono le stesse colleghe che manifestano irritazione per le assenze, per l’orario ridotto, perché “così il tuo lavoro finiamo per farlo noi”» racconta una giovane impiegata. «Oppure il responsabile ti rifila il lavoro meno gratificante “finché non torni alla normalità”. Ma dopo due o tre anni di lavori insignificanti ti rendi conto di aver perso competenze e occasioni di crescita professionale che non recuperi più».

Una sensazione di inadeguatezza

Tata - mamma lavoratrice

Il rischio che molte mamme lavoratrici descrivono è quello di sentirsi lavoratrici imperfette e mamme imperfette: mantenere gli stessi ritmi e le stesse prestazioni di chi non deve conciliare il lavoro con l’impegno genitoriale è quasi impossibile. Ma anche quando in qualche modo sembra di poterci riuscire, grazie a un’accurata organizzazione dei tempi e dei compiti, si scopre che per essere mamme “come si deve” bisognerebbe avere due vite parallele, o disporre di un “doppio” in grado di attivarsi in caso di imprevisti. E gli imprevisti a cui deve rispondere una mamma sono infiniti, dal più comune (telefonata dal nido: «Signora il bambino ha la febbre, dovrebbe venire a prenderlo subito…») a quelli legati al protrarsi inaspettato di una riunione di lavoro, a una pratica da consegnare urgentemente a ogni costo, alla telefonata della baby sitter che deve andare via due ore prima, e così via. Il risultato? Ansia, senso di inadeguatezza, e sguardi di rimprovero delle educatrici del nido, dei colleghi, del capo, della vicina a cui la baby sitter ha chiesto di dare un’occhiata al bambino finché non torna la mamma. Insomma, la sensazione di non farcela è costante.
Ognuno dei due “mondi” in cui una mamma vive fa richieste che sarebbero normali se solo non ci fosse quell’altro, di mondo, con le sue richieste altrettanto normali: «È l’unica dell’ufficio che ha le competenze per partecipare a questo meeting. Ci mette in gravi difficoltà se non si presenta. Ci pensi bene». Oppure:
«Signora, scusi se mi permetto ma le riunioni dei genitori sono importanti. Abbiamo notato la sua assenza. Cerchi di esserci le prossime volte».

Papà e lavoro

E i papà, dove sono in questi casi? Anche quando i papà sono disponibili a condividere gli impegni, il problema si sposta soltanto: rivendicare il proprio diritto a essere genitori, e non soltanto lavoratori, è comunque rischioso. Un giornalista di un noto quotidiano “progressista” francese anni fa ha raccontato le conseguenze della sua scelta di chiedere il congedo per paternità al posto della propria compagna. Un diritto che gli ha reso molto difficili le relazioni con i colleghi e con la direzione del giornale, come se la sua decisione fosse, in realtà, un capriccio snobistico, incomprensibile e dannoso. Conseguenza: una sorta di mobbing da parte dei colleghi (e delle colleghe) e l’accusa più o meno esplicita da parte della direzione di approfittare della situazione per evitare incarichi scomodi. Alla fine, è stata proprio la sua compagna a incoraggiarlo a tornare al lavoro a tempo pieno per non compromettere la sua carriera.
La differenza fra mamme e papà rispetto alla rinuncia al lavoro è legata anche a questo: spesso il lavoro dell’uomo è più remunerativo, o comunque ha più peso nell’economia e nella progettualità della coppia. Insomma, se uno dei due deve rinunciare a investire nel lavoro per occuparsi dei figli, anche se temporaneamente, è più facile che sia la donna a farlo.
Immaginare che il problema si risolva dividendo equamente fra mamma e papà gli impegni di cura e di accudimento è irrealistico: lo si può fare per gli impegni di routine come accompagnare il piccolo al nido o dai nonni, oppure occuparsi della pappa, della nanna e così via. Ma ciò che proprio non si concilia con le esigenze lavorative sono, come si è detto, i mille imprevisti a cui bisogna rispondere in fretta. Il che significa riunioni lasciate a metà con inevitabile accompagnamento di sguardi di rimprovero, pratiche non completate, richieste non accettate e, in definitiva, rendimento inferiore alle attese.

Rinunciare alla perfezione...

La soluzione più saggia, insomma, è rinunciare. Ma non rinunciare al lavoro o alla maternità. Rinunciare, consapevolmente, all’illusione di poter essere mamme perfette e anche lavoratrici con il massimo del rendimento.
Sin da quando una donna che lavora comincia a pensare di avere un bambino è importante che la coppia di genitori abbia un’immagine realistica del sovrapporsi di impegni e richieste che questo comporterà, e abbia un’idea di come affrontarli senza rischiare la serenità e l’equilibrio individuale e di coppia. Così come è importante avere chiaro quanto il luogo in cui si lavora sia ben disposto nei confronti della mamme lavoratrici, e cosa si potrebbe perdere, diventando mamme, in termini di progressione di carriera e di progetti futuri. Ma soprattutto quanto realmente si è disposte ad affrontare quel rischio.

...senza rinunciare a se stessi

L’altro aspetto da coltivare è la rete degli aiuti. Ma non solo nonni e baby sitter, a cui, purtroppo, non tutte possono ricorrere. Le reti di donne (vicine di casa, colleghe, amiche, mamme degli altri bimbi del nido), che possono scambiarsi il ruolo di “mamma di emergenza” quando compare un imprevisto, possono essere un vero e proprio salvavita. Ma per riuscire ad attivare questa rete di aiuti bisogna rinunciare alla convinzione eroica di potercela/dovercela fare: a fare tutto, a conciliare tutto, a rispondere a tutto. A non delegare nulla.
Insomma, essere mamme e lavoratrici è possibile, ma non c’è spazio per l’improvvisazione. Serve previsione e programmazione. Gli imprevisti ci penserà il bebè a crearli. Ma anche prevedere gli imprevisti fa parte della preparazione alla carriera di una mamma lavoratrice.

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