L’ascolto reciproco si trova alla base di ogni relazione, e i bambini imparano ad ascoltare grazie a un rapporto con i propri genitori fondato su pazienza, comprensione e tolleranza. Il pianto risulta la prima forma comunicativa che il piccolo mette in campo per inviare segnali e bisogni agli adulti che si prendono cura di lui: una risposta puntuale e significativa dei propri genitori gli farà capire di essere importante e protetto. Osservando con costanza e attenzione un bebè, gli adulti possono interpretare i suoi messaggi ancor prima che egli debba ricorrere al pianto: la bocca spalancata che cerca il seno, ad esempio, comunica alla mamma che il piccolo ha fame; il viso che diventa rosso o la pancia e gli arti inferiori che si contraggono, invece, segnalano che il neonato deve liberare l’intestino, e così via.
Il pianto può essere considerato l’ultima scelta a cui il bambino ricorre per comunicare, e lo fa quando gli altri messaggi meno “forti” sono rimasti inascoltati o non colti. Il pianto, inoltre, può essere una forma di comunicazione specifica, e i genitori imparano a interpretare quello dovuto alla stanchezza, al freddo, al caldo, alla fame o alla frustrazione; in seguito, si placherà appena riceve un’adeguata risposta.
Durante i primi mesi, come in una relazione d’amore, le parti imparano a conoscersi, si prende confidenza con le esigenze, le preferenze, i tratti caratteriali dell’altro, e con umiltà e predisposizione all’ascolto si instaura un rapporto di rispetto e fiducia. Mano a mano che il genitore impara a conoscere il proprio bambino saprà, con sempre maggior semplicità, intendere i comportamenti, anticipare le richieste, prevenire crisi e sofferenze.
Comprendere la motivazione che spinge un bambino a fare una richiesta, inoltre, permetterà di rispondere a quel segnale con maggior efficacia. Spesso, infatti, ciò che definiamo erroneamente “capriccio”, è una richiesta legittima manifestata dal bambino attraverso un comportamento inopportuno e “volutamente” fastidioso solo per venire ascoltato. A volte non si riesce a cogliere a pieno i bisogni espressi da un bambino, ma il piccolo esprime soddisfazione anche per il solo tentativo che gli adulti fanno per comprenderlo.
La voce del maestro interiore
La voce che il bambino ascolta per prima è la propria. In particolare, Maria Montessori definisce “maestro interiore” quella guida profonda che orienta il bambino verso la ricerca di benessere, esercizio e crescita. Il piccolo asseconda il suo volere e cerca di soddisfare i suoi bisogni perché “programmato” per farlo: inconsapevolmente egli conosce e ricerca ciò che lo può arricchire e sviluppare. Come un fascio di luce, lo sguardo del bambino illumina attorno a sé ciò che riconosce come potenzialmente arricchente.
Interferire con questo sentire interiore, ovvero cercare di dirigere dall’esterno un bambino tra 0 e 3 anni, è tutt’altro che semplice: «Vuole fare le scale ogni volta che arriviamo a casa» oppure «Ogni volta che vede delle scarpe deve provare a infilarsele». Il piccolo, quindi, appare testardo e sordo alle indicazioni che gli vengono date, ma in realtà è solo concentrato a dare priorità a se stesso. Perciò, come è meglio comportarsi di fronte a tali atteggiamenti? Innanzitutto le azioni che vengono compiute dai “grandi” sono recepite molto più facilmente dal bambino rispetto alle parole udite: il genitore, quindi, può parlare in modo efficace al bambino attraverso l’esempio e l’azione. In questo modo il piccolo assorbe dall’ambiente ciò che viene vissuto e lo fa proprio. Inoltre, se la parola non è ancora uno strumento abilmente padroneggiato dal bambino sarebbe opportuno prediligere “l’insegnamento muto”: gesti lenti, precisi e ben visibili dal bambino mostreranno come vanno compiute le azioni, senza il bisogno di grandi spiegazioni. È poi efficace alternare la voce all’azione rimanendo in silenzio quando si agisce, e fermandosi quando si parla. Questo “ordine comunicativo” favorirà la concentrazione del bambino su un solo linguaggio: manuale o verbale. L’attenzione del bambino sarà così dedicata e concentrata a seguire le mani che lavorano o la bocca che parla.
Ascolto e conquista dell’obbedienza
Ogni genitore desidera che il proprio bambino sia obbediente, ovvero che sappia agire secondo la volontà dell’adulto: «Vieni a tavola, è pronto», «Metti via il pallone, dobbiamo rientrare», «Fuori fa freddo, indossa il cappello». Ma perché il piccolo acquisisca tale competenza, importante per vivere in società, è necessario ricordare che egli dovrà attraversare una serie di tappe intermedie obbligate affinché impari a ubbidire, riconoscendone così importanza e utilità. Il primo grado dell’obbedienza, così come lo definisce Maria Montessori, prevede che il bambino sappia rispondere alla propria volontà, ovvero sia in grado di dare ascolto alla propria voce interiore individuando le risorse necessarie per mettere in atto le azioni che desidera compiere. L’esercizio di tale abilità inizia dai primi mesi di vita e si conclude intorno ai 2 anni, ossia quando il bambino, che ha avuto tempo e spazio per fare “allenamento”, sa cosa desidera e come ottenerlo nel rispetto della sicurezza di sé, degli altri e dell’ambiente. Da quel momento inizia a percorrere la strada per la conquista del secondo grado dell’obbedienza, divenendo consapevole che oltre alla sua volontà esiste anche quella altrui e che queste possono, in alcuni momenti, non essere allineate.
Il piccolo vive situazioni più “semplici” (quando è riposato, sazio e di buon umore) dove sa rispondere con calma e naturalezza a un comando; e occasioni in cui non riesce a farlo (è stanco, affamato o accaldato) e si oppone, o sembra non sentire. Il bambino conquista la competenza di saper mettere a tacere momentaneamente la propria volontà per rispondere ai comandi esterni intorno ai 5 anni, sempre se prima ha avuto occasione di fare un buon allenamento.
Il bambino, quindi, entra nel periodo volto alla conquista del terzo grado dell’obbedienza, dove sembra proprio che egli desideri rispondere all’adulto. Durante la scuola primaria adora lavorare con l’adulto, prodigarsi per lui, rispondere alle richieste, dimostrare ciò in cui è abile riconoscendo nella figura adulta di riferimento un modello importante da seguire e da cui imparare.
Il parere dell’adulto conta, e molto; il giudizio che riceve può renderlo fiero e orgoglioso, come può anche ferirlo profondamente. L’ascolto del bambino verso la parola dell’adulto, in questa fase, è altissimo. I “grandi” dovrebbero ricordare quanto potere posseggono, quale occasione d’oro hanno tra le mani per rispondere al bambino, ai suoi quesiti e alla sua curiosità, sapendo di essere sempre accolti con gioia ed entusiasmo.