Tempo. I bambini non ne hanno mai abbastanza, e se potessero esprimere un desiderio di certo chiederebbero più tempo. Così come i genitori, che sembra vadano sempre di fretta: «Muoviti!», «Non c’è tempo!», «Un’altra volta!», «Non adesso!».
È vero, il ritmo serrato cui “costringe” la società contemporanea non è allineato al ritmo lento e naturale che vorrebbero seguire i bambini. Loro non conoscono la fretta, l’urgenza o la necessità di rimandare. Fin verso i sei anni il loro ritmo è guidato dall’interno, dal desiderio di gustarsi le esperienze sino in fondo perché necessarie al loro sviluppo ottimale, e forzare i tempi (accelerando o rinunciando ad alcune cose) è difficilissimo.
A camminare e parlare imparo da me
All’inizio della propria vita, il bambino inizia un percorso di acquisizione della capacità di camminare, così come di parlare in modo lento e graduale, e a circa tre mesi compie i primi spostamenti posturali per divenire competente nel girarsi (supino/prono). Questo esercizio, che potrebbe apparire semplice e banale agli occhi di chi già cammina abilmente, è uno step fondamentale (come molti altri) per diventare abili nella deambulazione. Il bambino trascorre quindi molto tempo ad accennare i movimenti, impiegando settimane, mesi, prima di essere in grado di girarsi abilmente, e ci metterà circa un anno per camminare. Così come gli ci vorranno circa due anni e mezzo per imparare a comunicare tramite il linguaggio verbale, fino a quando, verso i 5 anni, tale competenza non sarà affinata. Durante questo esteso lasso di tempo il piccolo vivrà delle conquiste importanti come la lallazione, le protoconversazioni, le parole diffuse e così via.
Il tempo è fondamentale e, per fortuna dei bambini, è difficile mettere fretta a un bambino affinché impari a camminare e parlare più velocemente. Anche perché, se si riuscisse a farlo, si otterrebbe un risultato opposto a quello atteso.
Fare, rifare e fare ancora
Lo stesso bisogno di fare con calma di cui abbiamo parlato poco fa, sarebbe opportuno che fosse garantito al bambino anche per le sue competenze manuali e la sua autonomia. I bambini, per esempio, “fanno per fare”, non per ottenere qualcosa, e quindi lavano le mani non per farle diventare pulite, ma per il piacere di lavarle. Non a caso, appena conclusa l’operazione, vorrebbero ripeterla immediatamente, anche se spesso vengono fermati dall’adulto che non ne comprende il motivo. La motivazione, in realtà, risiede nell’esercizio e nell’affinamento di una competenza che, per essere acquisita e padroneggiata, deve essere svolta, ripetuta, e svolta ancora.
I gesti affascinanti delle mani della mamma che indossano le scarpette per gioco, per esempio, potrebbero far venire voglia al bambino di imitare quelle movenze, e così, appena indossate ai piedi, magari quando è già sull’uscio di casa, il piccolo toglie le scarpe per poterle infilare sulle mani. O ancora, i bambini passeggiano per passeggiare, non per arrivare a una destinazione. E così, ogni qualvolta sia possibile, sarebbe importante favorire quel lavoro che è fine a se stesso, apparentemente senza scopo, ma fondamentale per crescere competenti e sereni.
È tempo di fare scorte di affetto
I primi 9 mesi di vita vengono definiti “esogestazione”, ossia il tempo strettamente necessario al bambino per adattarsi alla vita fuori utero: in questo periodo egli necessita di quella stretta vicinanza fisica e affettiva con la madre affinché cresca sicuro, protetto e certo di essere amato. Se questo tempo viene garantito e custodito, il bambino farà una “scorta d’affetto” necessaria ad avviare la sua esplorazione del mondo. Durante gli anni successivi, poi, per molto tempo, il bambino tornerà a quella condizione di protezione e di calore (le braccia materne e paterne) ogni volta che ne sentirà il bisogno. Se verrà accolto, sarà lui stesso a dimostrare questa necessità, che andrà gradualmente diminuendo man mano che diventerà autonomo nel gestire preoccupazione, frustrazione, rabbia o tristezza. Prendere in braccio i bambini quando lo desiderano, così come dormire vicini a loro se richiesto, non è un vizio, ma un atto di amore incondizionato che consentirà al bambino di crescere fiducioso in se stesso e negli altri.
Rallentare si può. Non sempre, ma si può
Qualche genitore potrebbe obiettare che non è sempre possibile favorire il tempo lento del bambino, che ci sono delle incombenze, impegni, orari che non possono essere ignorati. Certo, questo è vero. Ma esistono anche altri momenti durante i quali è possibile rallentare per seguire il bambino: magari solo un paio d’ore nella giornata, durante il weekend o le vacanze. In queste finestre temporali dove si può scegliere a quale velocità “viaggiare” si potrebbe dar modo al bambino di dettare il passo.
Per esempio si può provare e partire da casa per fare una passeggiata, senza prefissarsi una meta, ma lasciandosi condurre a passeggio da un bimbo di un paio d’anni, concedendogli di sostare a ogni formica che incontra, di salire su ogni scalino, di osservare il fondo di una grata, o di raccogliere foglie e rametti. Allo stesso modo, quando si rientra a casa, momento in cui non dovrebbe esserci la stessa fretta che in uscita, permettete al bambino di spogliarsi in autonomia, restando a osservarlo e supportandolo dove occorre. O ancora, si può concedere a un bimbo curioso e chiacchierone di 7 anni di ricevere e cercare insieme tutte le risposte ai suoi interrogativi: invece di sentenziare «Non ho tempo», si può provare a dire «Cerchiamo la risposta», e sarà occasione per entrambi di scoprire cose nuove: quanti vulcani ci sono nel mondo, che verso fa il tapiro, perché i fiori sono colorati o quanto sono lontane le stelle e chissà cos’altro.
Sperimentare la velocità di cammino dei bambini sarà l’occasione per gustarsi le esperienze fino in fondo, lasciandosi coinvolgere dagli eventi che vivono. È in questa dimensione che si favorisce la concentrazione, stato mentale dove può nascere l’apprendimento, quello spontaneo, conquistato con gioia ed entusiasmo.